Storia di Venezia
Pagina pubblicata 22 Dicembre 2013
Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
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![]() Truppe Venete in una ricostruzione storica proposta dal Gruppo "Sedicesimo Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco"; da una foto di Fabrizio Zuccarato. Le truppe che purtroppo mancarono a Peschiera in quel fatidico 1796. Mentre dunque il Provveditor Foscarini si avvia in olocausto alla Belva Francese in quel di Valeggio sul Mincio, in Venezia, il 31 Maggio 1796 gli Inquisitori trasmettono ai Savj di Collegio un'informazione riservata inviata dall'Ottolin Vice Podestà di Bergamo il 29 dello stesso mese. Anche questa comunicazione (pag. 164), come la quasi totalità di quelle che troviamo in questo libro, non fu presentata dai savj al Senato della Repubblica. Un agente francese è giunto a Bergamo proveniente da Brescia, e indaga attivamente se esistano in città "effetti appartenenti all'Arciduca Ferdinando", ex-Governatore della Lombardia e in special modo se vi sia la "Cassa Salariati" dello stesso Arciduca. L'agente sembra essere convinto che tale Cassa sia effettivamente in Bergamo, e precisamente in una "Casa mercantile" dallo stesso nominata. Pare all'Ottolin, da "ulteriori rivelazioni", che l'agente sia stato espressamente incaricato di tali indagini dai "Comandanti Francesi". Nella nota (2) a pié di pagina, Cristoforo Tentori ci anticipa che "Quali fossero le intenzioni de' Francesi per impossessarsi degli effetti del R. A. Ferdinando, esistenti in Bergamo, sarà a suo tempo narrato". In attesa di quel tempo, torniamo a fianco del povero Provveditor Foscarini, che il 31 Maggio si presenta al Napoleone, il quale nel frattempo si è trasferito da Valeggio in Peschiera. Sfugge per il momento all'olocausto ma non a "l'ingrata, ed iscortese maniera con cui egli venne accolto, ... le minaccie, e le frasi usate da un semplice Generale di esercito verso una Repubblica Sovrana, ed Amica della Francia" (da pag. 164).
Tentori riporta integralmente il rapporto che il Foscarini rese di quell'incontro, in data "1 Giugno 1796 ore 9 della mattina" da pag. 165 a pag. 169. In apertura il Provveditor Generale informa di essere "stato a Peschiera già in mano dei Francesi, traversando una numerosa Colonna di Truppe di questa Nazione, che con li suoi posti avanzati si spingeva fin di là di Castel Nuovo". ... il General Buonaparte era a tavola, e l'accoglimento non fu il più lusinghiero. Finito il pranzo ci ritirammo in una stanza, Egli, io, il General Berthier, ed il Circospetto Segretario Sanfermo. Foscarini chiarisce di essere costretto a tralasciare di esporre le argomentazioni e i richiami alla neutralità, alla lealtà e all'amicizia che ha profuso nell'introdursi e nel rispondere alle altrui osservazioni. Da pag, 165 - 166: Mi disse dunque, che la Repubblica di Venezia aveva mal corrisposto alle amiche disposizioni della sua nazione, ... che l'aveva tradita lasciando ai Tedeschi occupar Peschiera, ciocché gli aveva fatto perdere mille cinquecento uomini, il di cui sangue reclamava vendetta; (1) ![]() Artiglierie venete, non meno trascurate oggi come reperti storici di quanto lo fossero nel tardo '700 come armi di difesa (Foto per cortesia del sig. Dall'Orto). Secondo Napoleone la Repubblica per mantenersi neutrale doveva resistere agli Austriaci e se non disponeva di forze sufficienti per fronteggiare un atto di forza di questi, avrebbe dovuto chiedere il suo aiuto e dichiarare guerra all'Austria. ... chiamò i Veneti stretti Amici degli Austriaci, e tanto più pericolosi nemici della Francia, quanto che simulata considerava la professata amica condotta di V.V. E.E. verso la Francia. Buonaparte passa poi a rimproverare l'ospitalità concessa per due anni al Conte di Lilla, il quale, soprattutto negli ultimi mesi, con i suoi "Manifesti" avrebbe dovuto essere identificato da Venezia come suo proprio nemico. Questi argomenti bastano al conquistatore per giustificarsi appieno nell'impossessamento di Peschiera, ma vi si aggiunge la convinzione sua e del suo Governo che Venezia non abbia espulso il Conte per intima persuasione, e nemmeno come gesto di amicizia verso la Francia, ma esclusivamente per timore delle conseguenze. Egli ha pertanto ordine dal Direttorio "di abbruciare Verona, lo che si proponeva di eseguire questa notte: che già il General Massena era comandato con una colonna di Truppe ... di metterla col mezzo di bombe in fuoco...".
... non giudico le intenzioni, ubbidisco ai comandi, che ho ricevuti, seguo le massime della guerra, riconosco i fatti, e questi devono decidermi. Peschiera non si è voluto presidiarla con 2000 Uomini, si è dato asilo al Pretendente... .(da pag. 167). La risposta seriale del Napoleone include rimostranze per aver permesso il passaggio di Truppe Austriache e di non aver impedito con le galere le manovre degli Austriaci via mare. Infine, Venezia avrebbe dovuto dichiarare guerra all'Austria quando il Liptal occupò Peschiera. Foscarini non trova parole per descrivere l' "imbarazzo" in cui si è venuto a trovare vedendo ogni suo sforzo vano ad "attenuare almeno nell'animo di questo Giovine Generale, ebro di ambizione, e di gloria", l'intento di vedere incenerita una "Città giustamente prediletta" dal Governo Veneziano, perché fedele e innocente. Il Provveditore chiede tempo a Napoleone per poter comunicare con il proprio Governo, e tale tempo gli viene duramente rifiutato. Quando è ben certo di avere completamente atterrato, oltre che atterrito, il Foscarini, Napoleone si mostra improvvisamente magnanimo. Rimanderà l'attacco di Massena a Verona al giorno dopo. Il generale si presenterà alle porte e, se non gli si resisterà in alcun modo, né si faranno "rimostranze" di alcun tipo, allora egli si accontenterà di far entrare le sue Truppe e di occupare i tre ponti sull'Adige con presidi per tutto il tempo che la guerra richiederà.
Non specifica esplicitamente quale sia il "piuttosto" che amerebbe, il Foscarini. Il suo periodare in questa lettera risente forse delle emozioni, o forse non vuole scrivere per esteso il nome di ciò che avrebbe "amato piuttosto": arrendersi. Napoleone risponde con tono di "assai per me mortificante indifferenza" che poco si curava di cosa decidesse il Provveditor, e che avrebbe deciso di fronte agli eventi che sarebbero avvenuti alle porte di Verona. Al minimo segnale di resistenza, avrebbe scatenato l'attacco. Da pag. 168: Così finì la trista conversazione, e io crederò di seguire le umane intenzioni di V.V. E.E., se al giungere dell'Armata alle Porte, non verrà opposta la forza per entrare nella città.
Seguì di fatto l'ingresso dell'armata Francese in Verona nel dì I Giugno 1796. Abbiamo dunque adesso i Francesi padroni di Crema, Brescia, Peschiera, Verona, Legnago e la Chiusa. Alla Repubblica non rimane che l'Amministrazione Civile, anch'essa però a discrezione dei Comandanti degli invasori. L'occupazione violenta di Verona, e il Dispaccio Foscarini produssero in Venezia un nuovo ordine di cose, potendosi dire con verità, che dal dì I Giugno 1796 incominciasse il progresso della rivoluzione e caduta della Repubblica, ciò che forma il soggetto della seconda parte di questa Raccolta. Cristoforo Tentori conclude dunque questa Prima Parte del suo studio proponendo al lettore una serie di sette "corollarj quanto sorprendenti, altrettanto certi e irrefragabili", che ritiene si possano trarre dalla "serie tutta de' fatti, da noi nel più lampante aspetto di verità sinora collocati col corredo di autentici Diplomatici documenti". ![]() Veduta di Venezia da un quadro di Francesco Canal (courtesy of http://www.vivavenezia.com. Secondo l'Abate, quindi, dall'esame dei documenti e degli eventi si può dedurre quanto segue: I Che la Repubblica di Venezia, se non avesse deviato per suggerimento di alcuni Savj del Consiglio dal sistema adottato dai suoi maggiori, e posto in esecuzione nel 1701, 1735 e 1743, era in grado di sfuggire l'imminente naufragio con una "valida neutralità armata", quale la propose il N. H. K. e Procuratore di S. Marco Francesco Pesaro. I I Che il piano di neutralità disarmata sostenuto con invincibile ostinazione da alcuni de' Savj fu opera o di perfidia, o d'imbecillità: poichè o essi conobbero la natura della Rivoluzione Francese, e li principj del nuovo loro governo, delineati appuntino ne' Dispaccj dei Veneti Ministri alle Corti, ovvero nò. I I I Il Senato, cui venivano celati molti de' Dispacci de' suoi Ministri alle Corti, e le più interessanti "Comunicate" degli Inquisitori di Stato, non era in grado di deliberare sempre con quella maturità, che era propria, e caratteristica, di quel Sovrano Consesso: e perciò ricade a peso di quei Savj, che li occultarono, il continuo abbaglio in cui da essi era tenuto. IV Qualunque fosse ne' Savj il movente del funesto loro sistema, il Senato mantenne sempre la "neutralità disarmata" con impuntabile lealtà, e le generose sue direzioni riguardarono sì l'Austria, che la Francia con indistinta amicizia, e con religiosa imparzialità, sfuggindo scrupolosamente tutto quello che turbar poteva la reciproca buona armonia con le due belligeranti potenze. V Le violenze, le frodi, le rapine, e le vessazioni dell'Armata Francese in Italia cagionarono nelle Venete Province l'odio, e l avversione alla medesima, ed al nome Francese; ma non perciò il Senato si allontanò dalla generosa, e leale sua condotta verso la Francia, ìspirando a' sudditi sentimenti di moderazione, e di soffferenza. VI La condotta del Governo Francese verso la Repubblica fu sempre all'opposto simulata, perfida, ed isleale: nè ricercò esso l'amicizia, e corrispondenza Diplomatica de' Veneziani, che ad oggetto di sedurli, e di addormentarli, per quindi tradirli disarmati, sacrificando i loro Stati, e l'esistenza loro politica all'iniquo suo interesse. VII La Sovranità e l'indipendenza della Repubblica di Venezia meritavano tanto maggiori riguardi, quanto che esse riposavano sulla fede pubblica, e sulle più solenni dichiarazioni del Governo Francese, che ricevuto aveva un Ambasciatore nella forma antica de' due Stati; e quindi doveva rispettarne le conseguenze, in vece di cancellare dalla Gerarchia Politica de' Governi il Governo medesimo, di cui con tanta interessenza aveva ricercata l'amicizia, e di cui solennemente riceveva l'Inviato. Alla luce di quanto avvenne in seguito, e di notizie e fonti che presumibilmente non erano a conoscenza dell'Abate Tentori, noi contemporanei possiamo precisare, correggere in parte e di parecchio espandere i suoi Corollari. Cercherò di farlo nella Presentazione riassuntiva di questa prima parte della "Raccolta". Umberto Sartori ![]() Verona in una veduta prospettica di Andrea Scoto del 1643 (courtesy of http://www.danielesquaglia.it). Vai a pagg. 152 - 163 | In questa pubblicazione, pagg. 164 - 172 | Vai alla Seconda Parte, pagg. 173 - 182
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