Storia di Venezia
Pagina pubblicata 13 Gennaio 2014
aggiornamento 20 Dicembre 2014 Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
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![]() La Chiesa Parrocchiale di Roverbella (courtesy of Panoramio). Da pagina 182 a pagina 188, Cristoforo Tentori riporta per intero il Dispaccio con il quale i Deputati Erizzo e Battaja relazionarono sul loro colloquio con il Bonaparte. Il Dispaccio è datato Verona 5 Giugno 1796. L'Oggetto della Commissione, di cui piacque a V.V. E.E. onorarci, è adempiuto pienamente. Ricordiamo, dalla Ducale di incarico, che tale "Commissione" consisteva essenzialmente nel rabbonire Napoleone corrompendolo direttamente e offrendogli di poter liberamente saccheggiare i Contadi Veneti senza temere ribellioni, in cambio che fosse salva la "amicizia fraterna" con la Repubblica Francese, ovvero in cambio del fatto che non venisse dichiarata ufficialmente la guerra a Venezia. Una formale Dichiarazione di Guerra, voglio evidenziare, avrebbe creato non pochi problemi ai Savj congiurati, primo fra i quali un possibile risveglio del Senato e un colpo di mano dei Veneziani "in Extremis", come tante volte si era visto nel passato, dalla Guerra di Chioggia a Cambrai agli ancora recenti successi dell'Angelo Emo. Reinstradati dal General Massena in Verona a Roverbella presso Mantova, Il Battaja e l'Erizzo incontrano Napoleone, di ritorno dall'aver "sorpreso" il sobborgo di San Giorgio conquistandolo senza perdere un sol uomo.
L'accoglienza poi ricevuta in Verona dai suoi "compagni d'arme" e da lui stesso, aveva finito col rabbonire il suo animo fino a considerare le avvenute offese alla sua Nazione come effetto di qualche trascuratezza di singoli funzionari, che avessero eseguito con scarsa previdenza i loro compiti. Egli è dunque tornato a essere amico della sorella Repubblica Veneziana, e pronto a considerare con benevolenza la rifusione amichevole dei gravi danni da lui subiti a causa di quelle trascuratezze. La cosa è già trascorsa, ed io mi pregierò di dar riscontri alla Repubblica Veneta dell'amicizia, che la mia gli professa: essendo certo, che per parte del Senato non si lascierà, durante il soggiorno delle Truppe Francesi nel di lui Territorio di manifestare la lealtà de suoi sentimenti facendo, che niente manchi alla sussistenza dell'Armata. Gli amici veneziani ben comprenderanno che, per accelerare il corso delle proprie vittorie, i Francesi non possono perdere tempo con la sussistenza, i magazzini e altri simili imbarazzi. Per considerare "amichevole" la remissione della Repubblica per i guai generatigli fino ad allora, Napoleone si accontenterebbe di tre milioni di ducati sull'unghia. In futuro, naturalmente, "per ovviare ai disordini, e agli imbarazzi", ovvero per diminuire la pressione dei saccheggi, Napoleone postula che l'amica Repubblica sia generosa con i visitatori francesi, nel "somministragli l'occorrente per far de' grandi magazzini da bocca". Per il momento, sempre secondo Napoleone, il "dispendio poteva esser sofferto dalla Città di Verona, che ben meritava questa piccola punizione: ..." (da pag. 184). ![]() Truppe Venete in una ricostruzione storica proposta dal Gruppo "Sedicesimo Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco"; proposta dal Gruppo "Sedicesimo Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco"; da una foto di Fabrizio Zuccarato. Bonaparte ha anche idee piuttosto chiare su come dovranno avvenire i rifornimenti alle sue truppe: ... in qualunque modo sarebbe stato bene, che si formasse un centro di intelligenza per le somministrazioni con delle basse figure, le quali ... per la sollecitudine, o per la qualità degli acquisti, si disputarebbero fra di loro, senza che i Governi respettivi avessero a meschiarsi. Le figure di corruzione e gli appalti di mantenimento delle Truppe siano dunque affidati a figure terze, "basse", dove lo sporco si noti meno che sulle grandi uniformi e le alte cariche degli Stati. Con studi successivi, alla luce del ritrovamento del testo del Trattato di Sant'Eufemia (vedi nota 5 del link), sappiamo che Napoleone aveva già istituito queste "basse figure" il 27 Maggio 1796 in una convenzione stipulata a firma di Benedetto del Bene e Rocco Sanfermo in qualità di plenipotenziari veneti. La gestione degli appalti era stata affidata alla "Confraterna Vivante" cui il Tentori ha già accennato nel "Discorso Preliminare sullo Stato della Repubblica di Venezia" e sulla quale abbiamo poi appreso molto di più ne "La Memoria dei Padri" del nostro contemporaneo Cesare Vivante. A questi ammicchi del Generale, il Battaja e l'Erizzo (plausibile patrono dei Vivante per i suoi trascorsi di protettore della Comunità ebraica Veneziana) enfatizzano ancora una volta l'espulsione del Conte di Verona, messa in atto dai veneziani "tosto che egli era uscito da quella moderazione, che gli conveniva", nonché "per quella costante corrispondenza, ed amicizia" che il Senato sempre si studierà di coltivare con la Repubblica Francese.
Ai Deputati è comunque "di sommo conforto il sentire" che nell'animo di Sua Eccellenza si sono dissipati quei dubbi sulle intenzioni del Senato Veneto e riconfermate le ingenue e amichevoli intenzioni di questo (il quale Senato noi sappiamo essere invece, grazie all'opera dei Savj di Collegio, ancora praticamente all'oscuro di quanto in realtà stava accadendo). Venendo poi al sodo delle "Provigioni per l'Armata", a fronte dell'atteggiamento possibilista e contrattuale offerto dai Deputati, questi devono "con dolore" rilevare che sembra intenzione dell'interlocutore "che se non del tutto, buona porzione almeno del mantenimento della sua Armata ... abbia a cadere a peso de' Veneti Stati". Non trascurano del resto di osservare "che la fama delle riportate vittorie" di tale armata "va di giorno in giorno ingrossando" (da pag. 185). Quale accrescimento di fama dovessero ottenere il Napoleone e i suoi compagni d'arme dall'aver occupato Peschiera e Verona senza incontrare la minima resistenza, è cosa che solo Battaja ed Erizzo sembrano sapere. Accantonata la possibilità di ottenere sconti sul mantenimento degli illustri ospiti, i Deputati giocano una timida minaccia, palesando al Napoleone la necessità di rifondere i danni alle popolazioni colpite dai saccheggi, dal momento che si può temere un sollevamento in proprio di queste, nonostante gli sforzi del Senato veneto di tenere calmi gli animi. Il Francese prende in esame i danni cominciando a dividerli in due aspetti, quello "politico" e quello "morale". L'aspetto politico è quello del soldato che, ancora ebbro del furore della battaglia, "si abbandona ad eccessi anche i meno attendibili". In questo aspetto rientrano "la rovina dei Seminati, il taglio degli Alberi, e tutto quello, che la guerra obbliga farsi da un'Armata per necessaria difesa, e per sua sussistenza". ![]() Truppe Venete in una ricostruzione storica proposta dal Gruppo "Sedicesimo Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco"; da una foto di Fabrizio Zuccarato. L'altro tipo di danni, quelli definiti "morali", comprende invece gli atti criminosi commessi da soldati "a stato tranquillo". Riguardo a questi, il Napoleone si impegna personalmente a rilasciare ordini precisi affinché i colpevoli, se colti sul fatto o denunciati subito dopo, vengano puniti. Sarà una sfumatura, ma io che scrivo oggi ho la netta impressione che "rilasciare" ordini non abbia esattamente lo stesso significato di "impartirli". Per quel che riguarda questi danni "morali", in conclusione, il Napoleone sembra fare molto affidamento anche sulle "convenienti misure tanto per il Territorio, che per la Città" che l'Eccellentissimo Provveditor Generale in Terra Ferma saprà prendere nlla sua "impegnata esperienza". Questa frase suona molto ambigua, e può riferire sia al fatto che ancora, nelle città Venete occupate, i Francesi consentivano le ronde della polizia cittadina, sia alle "elargizioni" agli ufficiali di minor rango affinché ciascuno "tenesse buona" la sua Truppa. A un velato accenno di domanda sul tempo previsto di soggiorno degli illustri turisti nella città di Verona, Napoleone "si spiegò chiaramente, che sino a tanto le cose della guerra sarebbero per esigerlo, lascerebbe le truppe in Verona". A meno ché, naturalmente, non fosse il Senato Veneto stesso a impegnarsi nell'impedire agli Austriaci il passaggio sui suoi ponti. Del resto il Generale prevede a breve termine di cacciare il "Nemico" ben lontano da Verona, e di poter quindi altrettanto presto ridurre il presidio in quella città. A questo punto Napoleone si permette anche l'ironia di far intravvedere la trama del suo bluff: ... si portò egli a chiederci se in queste munizioni vi esistessero dei fucili, al che avendo noi risposto dubitativamente, ci disse, che molti dei suoi soldati essendo disarmati gli sarebbe grato, che se gliene somministrassero un migliaio circa. I Deputati opinano che tale tipo di "rifornimento" non sembra loro conveniente alla amichevole e pacifica neutralità di Venezia, al che il Napoleone "soggiunse, che bene intendeva, che si sarebbe potuto osservare questo riguardo lasciando, ch'egli avesse ad impadronirsi". Su questo che appare già come un tacito accordo, i Deputati "parve prudente di lasciar cadere il discorso".(1)
Secondo i Savj Battaja ed Erizzo, la "finezza delle riflessioni" del Condottiero e i "vari cenni che si lasciò cadere sulle politiche convenienze della sua, e delle altre Nazioni", sembrano lasciar dedurre "ch'egli non solo sia dotato di molti talenti anche ne' politici affari, ma che somma sia l'influenza sua sul Direttorio;". Almeno su quest'ultima opinione, mi sento personalmente di convenire con i Savj. Napoleone sembra in molte occasioni obbedire a ordini più alti di quelli del Direttorio di Parigi. Finito il lungo colloquio, Generale e Savj si recano amichevolmente a pranzo assieme, ma prima di congedarli Napoleone chiede un ulteriore piccolo favore: riguarda le coccarde francesi. Il suo Ministro a Venezia Lallement si lamenta da tempo con lui che ai suoi connazionali sia proibito indossarle in Venezia, e tale cosa gli appare come "sommamente essenziale per il decoro della sua Repubblica". Questa richiesta pesa assai ai Savj, che pur avendo promesso in nome proprio e della Repubblica milioni e furti impuniti di fucili, sulla questione delle coccarde non si sentono di decidere in proprio, limitandosi a promettere che ne avrebbero caldeggiato l'istanza presso il Serenissimo Governo. Curioso, no? Si elargiscono milioni e diritti di saccheggio e poi si cincischia per una rosellina di stoffa. Io penso che i savj temessero che il comparire improvviso in Venezia delle ormai famose coccarde regicide, potesse scuotere quei numerosissimi Senatori vinti dall'illusione di vivere nel paradiso inviolabile che il "Tintoreto" aveva così mirabilmente dipinto nella loro Sala di Consiglio. ![]() Villa Gobio a Roverbella, dove Napoleone stabilì il suo Quartier Generale, foto per cortesia del signor Marcello Marconi. La insperata cortesia e disponibilità del Napoleone nel colloquio, unita alla disposizione collaborativa mostrata nel congedo, dissuade i savj dal richiamargli alla mente un chiarimento che pure loro premerebbe. Riguarda l'ordine che, nel colloquio col Provveditor Foscarini del Primo Giugno, egli aveva detto di aspettare dal Direttorio entro sette giorni, in merito al bruciare Verona e dichiarare formalmente guerra alla Repubblica di Venezia. Nonostante manchino solo due giorni allo scadere di quei fatidici sette giorni, Battaja ed Erizzo preferiscono non nominare la faccenda, perché pare loro "facile con ciò eccitare nell'animo suo un senso di amarezza per il dubbio, in cui si sarebbe mostrato di mettere le sue osservazioni" (da pag. 187). Nella chiusa di quel Dispaccio del 5 Giugno, i Savj Erizzo e Battaja si sbilanciano a considerare il loro colloquio come "di molto conforto all'Eccellentissimo Senato per rendere dissipato quell'oscuro Orizzonte, che pareva minacciare la sua tranquillità".
Dalla cooperazione di questo Commissario Francese col Veneto Provveditor (e con le "basse figure" introdotte dal Napoleone in precedenza) i savj si attendono "meno pesanti i sagrifizi alla pubblica economia". Ma la vera lusinga, quella che premia le fatiche di tanto infame contratto, è che "non saranno compromessi i riguardi eminenti della pubblica tranquillità". Da pag. 188: Verona li 5 Giugno 1796 ore 12 Da pag. 188 il Tentori: Se leggiamo con maturo riflesso il Dispaccio Battaja ed Erizzo , rileveremo a colpo d'occhio, che il simulato carattere del General Buonaparte non fu da essi penetrato, e ch'ebbero la debolezza di prestar fede al dolce canto di quella perfida sirena. La disamina della filza delle "Non lette al Senato" prosegue adesso con i Dispacci che giungono da Bergamo e da Milano nonché con l'arrivo del Condulmer da Roma, che affronteremo nella prossima pubblicazione. Umberto Sartori ![]() Truppe Venete in una ricostruzione storica proposta dal Gruppo "Sedicesimo Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco"; da una foto di Fabrizio Zuccarato. NoteNota 1 - Nel corso di ricerche all'Archivio di Stato pertinenti altro argomento, oggi 20 Dicembre 2014 mi sono imbattuto nei Dispacci di Foscarini e Battaja da Verona che raccontano dettagliatamente gli sviluppi di questa questione dei fucili. Inserto 1 al Dispaccio n. 20 data 8 Giugno 1796: All'inserto 1 del Dispaccio n. 27 (Contarini e Battaja) data 9 Giugno 1796 troviamo una lettera autografa di Massena che chiede in prestito 2000 fucili per armare le reclute che escono dagli ospedali. Battaja dichiara di non stupirsi di tale lettera, richiamando la simile richiesta fatta verbalmente da Napoleone a Roverbella (i fucili nel frattempo sono raddoppiati di numero, ma Battaja non sembra stupirsi nemmeno di questo). Battaja esplicitamente dichiara di avere ufficialmente rifiutato la fornitura, ma di avere provveduto affinché i fucili fossero fatti pervenire a Massena "sotto l'apparenza di privati contratti". Nel Dispaccio n. 29 data 11 Giugno 1796 si comunica di aver dato incarico segretissimo al Vela, commesso della ditta Vivante, per: far cancellare dalli ricercati fucili le marche in essi impresse del territorio, e riponendoli in casse colle loro Bajonette, trasportarli quindi in questa sera in modo insospettato nel luogo dove il Vela forma i suoi magazzini per gl'altri generi. Questa dilazione precisa il Battaja, era necessaria per avere il tempo di cancellare le marche territoriali. Il completamento della consegna dei fucili in massima segretezza è comunicato nel dispaccio n. 30, del 13 Giugno 1796. All'Inserto 1 del dispaccio n. 36 data 18 Giugno 1796, troviamo una nuova lettera autografa di Massena che si lamenta perché ai 2000 fucili non sono state allegate le necessarie 2000 giberne. Massena si fa carico di essere stato impreciso nella richiesta, ma fa notare che a un terzo dei duemila fucili mancano alcuni pezzi. Il Generale conclude la lettera chiedendo notizie della salute del suo buon amico Battaja "al quale vi prego di dire mille cose buone da parte mia" (poteva anche sprecarsi a mandargliene 2000, di buone cose, una per ogni fucile...:-) ). Nel dispaccio si rende noto di aver dato incarico al Vivante perché provveda a risolvere la situazione. In coda alla Busta 116 si trovano numerosi conteggi di forniture con firme autentiche dei Vivante. Vai a pagg. 173 - 182 | In questa pubblicazione, pagg. 182 - 188 | Vai a pagg. 188 - 199 || Va all'Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||
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