Storia di Venezia
Pagina pubblicata 5 Dicembre 2014
Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
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![]() Salò, un piccolo paese che può diventare fonte di molti chiarimenti. Da pagina 58 a pagina 66, Tentori riporta la Relazione da Udine dei Deputati "Francesco Pesaro K. e Procurator di S. Marco, e Zan Battista Cornaro Savio di Terraferma", sul loro incontro in Gorizia con Napoleone Bonaparte, spedita da Udine il 25 Marzo 1797. Tale Relazione proviene dall'Archivio Segreto della Repubblica. Passata l'ora fissata da Napoleone per incontrarli in Udine Giovedì 24 Marzo 1797, i Deputati Pesaro e Cornaro decidono di raggiungere il Generale a Gorizia, dove giungono verso la sera. A Gorizia trovano Bonaparte impegnato a contrattare la resa di Trieste con quattro Commissari di quella città; il Generale tuttavia concede loro un'udienza di tre ore. Dopo i consueti convenevoli adulatori, i Deputati presentano protesta per i fatti di Bergamo e Brescia. Napoleone afferma di essere a conoscenza dei fatti di Bergamo, ma non di quelli in Brescia. (1). I Deputati ringraziano per la promessa di punizione del Generale, ma fanno notare che ciò che sta loro a cuore è soprattutto ricondurre Bergamo e Brescia sotto il loro paterno Governo, e ottenere da lui il permesso di agire con la forza contro quei pochi ribelli che non rappresentano la maggioranza della popolazione, ma solo un manipolo di teste calde e avventurieri, che si fanno forti solo della presenza francese nei castelli delle città. È dunque necessario, al fine che la Repubblica possa inviare proprie Forze Armate in quelle città, che le guarnigioni francesi siano avvertite che tali manovre non sono intese a rompere la neutralità nei loro confronti, ma solo a sedare ribellioni interne allo Stato Veneto. Napoleone rifiuta l'opzione col pretesto di doversi in ogni modo garantire una eventuale ritirata. Suggerisce inoltre che, se per caso le spedizioni della Dominante dovessero uscire sconfitte dallo scontro con i ribelli, questo avrebbe accelerato le sommosse che, come lui sa, sono latenti in molte altre Province. Largo di consigli, suggerisce ancora che il modo migliore di risolvere la questione sarebbe affidare il ristabilirsi dell'Ordine costituito proprio alle guarnigioni francesi delle due città. È la volta dei Deputati di ritenere impraticabile questa via, in quanto affidare l'Ordine a una Nazione straniera non potrebbe che rivelarsi controproducente per Venezia. Napoleone nicchia, dicendo che sarebbe da parte sua segno di poca gratitudine, collaborare a reprimere coloro che si ribellavano in nome delle "nuove opinioni" di cui la Francia si era fatta portabandiera. I Deputati difendono la Neutralità in questo conflitto come unico mezzo valutato dal Senato come atto a salvaguardare la Repubblica da mali maggiori, e che solo una volta firmata la pace, Venezia prenderà in considerazione la possibilità di alleanze. Napoleone cerca di deviare il discorso dal tema riproponendo le lagnanze relative all'ospitalità concessa in Verona a Luigi XVIII e in Venezia al Duca di Mantova suo nemico. In particolare Napoleone si dice convinto che questi personaggi abbiano depositato nei forzieri veneziani immense ricchezze. Egualmente egli ritiene che in Venezia vi siano ingenti fondi appartenenti a suoi nemici, soprattutto al Re d'Inghilterra. Lascia intendere di ritenere di poter avanzare dei diritti su tali ricchezze. A questo punto Bonaparte dichiara che, dal momento che non si raggiungono pratiche conclusioni, è opportuno riflettere, e aggiorna l'udienza all'indomani mattina, "due ore prima del mezzo giorno" (da pag. 62). Pesaro e Corner mettono a profitto la dilazione per un abboccamento con il Generale Berthier, convinti che questi abbia un forte ascendente su Napoleone. ... abbiamo creduto di prevenirlo favorevolmente alle nostre viste con una officiosa visita, in cui nulla fu da noi trascurato per guadagnare la di lui persuasione, e per quanto ci parve in seguito non senza qualche utilità di successo. Alla mancia per il Berthier i Deputati attribuiscono la benevolenza con cui Bonaparte li accoglie l'indomani. Suggerisce però che, prima di muoversi militarmente contro i ribelli, i Veneziani attendano la risposta del Direttorio al promemoria presentato dal Querini il 15 Marzo, risposta che non avrebbe tardato molto a giungere. I Deputati fanno osservare che ogni ritardo da parte del loro Governo poteva favorire l'espandersi dell'incendio ad altre città. Napoleone dice allora che facciano come credono meglio, e che del resto lui è al corrente del fatto che vi sono già delle truppe in marcia dalla Serenissima verso la Terraferma. (2) Poi il francese mostra una relazione sui fatti di Brescia che avrebbe appena ricevuta (presumibilmente quella del Battaja), assieme a una carta senza firme né data con la quale i golpisti bresciani ricercherebbero la protezione della Repubblica Francese. Per consolidare in qualche modo le autorizzazioni alla difesa militare della Repubblica dai ribelli, concesse verbalmente da Bonaparte, i Deputati decidono di trascriverle in una lettera che gli consegneranno prima della partenza, e che Tentori riporterà integralmente tra qualche pagina. La Relazione di Pesaro e Corner prosegue descrivendo un altro spinoso argomento affrontato nel colloquio. I Deputati esprimono la speranza che, adesso che l'Armata Francese lascia il Territorio veneto spostando, di vittoria in vittoria, il teatro delle operazioni "nella Germania", lo Stato Veneto sarà sollevato "dall'enorme peso sofferto per oltre dieci mesi di provvedere in misure eccedentissime, e sommamente arbitrarie", alla sussistenza di detta Armata. Napoleone è però di altro avviso. Proprio in quanto è aumentato di numero e si addentra in regioni montagnose, il suo Esercito maggiormente abbisogna di trarre sussistenza dalle retrovie italiane, e sarà dunque logico attendersi un aumento delle requisizioni. Vi potrebbe però essere un espediente, per alleggerire il peso dalle spalle delle popolazioni venete. Riguardo alle "misure eccedentissime" esse non vanno imputate all'Esercito, il quale non riceve nemmeno la metà di quello che viene requisito ed elargito dalla Repubblica. L'eccedenza è dovuta all'avidità personale dei suoi Commissari e delle "terze figure" che si occupano degli approvvigionamenti da entrambe le parti. Napoleone sostiene di avere più volte affrontato l'argomento con il Provveditore Straordinario Battaja (3). Se dunque il Senato gli corrisponderà la somma mensile richiesta, Bonaparte si impegna non solo a far cessare immediatamente le requisizioni e le vessazioni sulla popolazione, ma anche contabilizzerebbe tutti i risarcimenti dovuti a Venezia in un unico "credito liquido, che la Nazione Francese non lascierebbe certo di soddisfare al momento della pace.". Pagando in contanti, sempre secondo Napoleone, il Senato farebbe anche un figurone col Direttorio, che a suo dire aveva valutato assai di più i quattro milioni sull'unghia offerti dalla Repubblica di Genova, che tutte le immense requisizioni in natura effettuate con la forza nello Stato Veneto. I Deputati tentano costernati di far notare che, in ossequio alla neutralità, Venezia si sarebbe poi trovata esposta a una richiesta analoga anche dalle Truppe austriache, ma Napoleone a questo punto li interrompe, facendo notare che gli Austriaci sono ormai fuori dall'Italia, mentre lui al presente occupa tutte le fortezze venete, ed è quindi in condizione di dettar legge. Inoltre egli ritiene che l'Erario veneziano sia perfettamente in condizione di offrirgli quel denaro, e che se anche non lo fosse, dovrebbe avvalersi dei denari del Duca di Modena e degli altri nemici di Francia, "che egli (Napoleone) pretende d'aver titolo di reclamare". Inutili i reclami da parte del Pesaro sul fatto che Venezia sia finanziariamente allo stremo e che non può trasgredire la fiducia di chi le avesse affidato in custodia le sue proprietà. Napoleone dimostra di avere dati molto precisi sull'Erario veneziano, dai quali risulta ampiamente esaudibile la sua richiesta. La relazione si conclude con il rammarico per il sostanziale fallimento delle speranze veneziane. Tuttavia le parole gentili e le promesse di Napoleone avrebbero aperto al Senato alcune possibilità di negoziazione e al contempo meglio chiarite le intenzioni dell'invasore. Pesaro e Corner si consolano ritenendo di non avere in alcun modo peggiorata "la condizione delle Pubbliche cose". Da pag. 66: Udine 25 Marzo 1797 Alle pagine 67 e 68 Tentori riporta il testo della lettera inviata dai Deputati a Bonaparte nella speranza che la sua risposta scritta desse consistenza probante a quelle promesse e richieste che aveva proferito verbalmente. La lettera riporta tutti punti già esposti, e non necessita di essere riprodotta ulteriormente, ma può valere la pena di leggerla per vedere a quale risibile livello di adulazione potesse spingersi un "diplomatico" veneziano del tempo. Nota la psicologia del Bonaparte, ancora una volta i Savj veneziani dovettero confermarlo nel suo disprezzo verso di loro. ... attribuisco a somma mia ventura d'avere potuto, sebbene per pochi istanti, ammirare d'appresso quelle eminenti qualità, che rendono cotanto celebre e glorioso il di lei nome, ... per l'equità e per la generosità del li di lei sentimenti, ... le di lei benevole, e graziose disposizioni nelli funestissimi emergenti delle Città di Bergamo, e Brescia, ... Interessa invece riportare la nota a questa lettera che Tentori compila a pag. 68. L'Abate rileva come nemmeno in questa lettera vi sia il minimo accenno a richieste di Napoleone in merito a un cambiamento della forma di Governo veneziana o a concessioni fatte dal Pesaro in tale materia. Devono dunque considerarsi "atroce calunnia" le accuse rivolte al Pesaro dopo il suo allontanamento da Venezia, che egli fosse fuggito per avere occultato al Senato le sue trattative in materia costituzionale. Napoleone del resto, non aveva ancora la copertura dei Preliminari di Leoben, e si trovava in stato di guerra ancora aperta, quindi non in condizione "di dichiarare le ingiuste e barbare sue pretese sopra i veneziani, avendo il nemico a fronte.". Fu dunque una nera calunnia di quelli per l'appunto, che aspiravano al cambiamento del Governo come Figli sconoscenti, e perfidi Traditori della loro Patria. Spiace dover contraddire l'Abate, ma egli non poteva essere al corrente del fatto che l'unità d'intenti tra Napoleone e l'Austria ai danni di Venezia datava da ben prima dei Preliminari di Leoben, nei quali solo si cominciò a precisare in dettaglio la spartizione dell'immenso bottino. Questo non significa che a mio modo di vedere il Pesaro avesse effettivamente trattato la resa costituzionale di Venezia. Però, dato il tenore di rapporto che abbiamo visto instaurare dal Pesaro con il Lallement, non mi sento di condividere l'opinione del Tentori sul Pesaro come "zelante cittadino". -- :: -- Da pag. 68: Mentre tali affari si maneggiavano a Gorizia, i ribelli Bresciani e Bergamaschi, mescolati a' Francesi, avevano sorpreso e rivoluzionato Salò col suo Territorio. Il 25 Marzo 1797 Francesco Battaja, in merito, trasmette a Venezia un racconto resogli per iscritto dal "sig. Andrea Giacomini di Bogliaco Riviera di Salò, ma da molto tempo Abitante in Venezia". La mattina del 25 Marzo, mentre sta per imbarcarsi e tornare a Verona attraverso il lago, Giacomini ode uno strepito di cavalli che si avvicinano a Salò dalla parte di Brescia. Gli armati si portano al "Pubblico Palazzo", dove disarmano e imprigionano la guardia degli Schiavoni. Arrestano il Provveditore e si impadroniscono di tutte le Cancellerie e degli Archivi. Nel frattempo giunge a piedi un'altra cinquantina di individui armati "fra quali trenta sbirri circa, e venti di Truppa Colletizia senza divisa colla sola Cocarda, e Pennacchio in testa;". Il Generale accompagnato da questo seguito percorre a cavallo il paese, incitando i Salodiani alla rivolta, ma nessuno dei locali lo segue. Essi cercano allora di istituire una Municipalità, secondo una lista di nomi già compilata a Brescia. Ma la maggior parte dei prescelti si era già dileguata, e solo alcuni, che si erano trattenuti in paese, furono costretti ad assumere l'incarico. Come primo atto amministrativo la Municipalità compila "un esatto inventario di tutti i Pubblici effetti, de' Dazj, ed ogni altra Pubblica Cassa.". Al Provveditore non viene effettuata alcuna violenza. Al Giacomini stesso gli assalitori propongono "Cariche luminose, ed una piena libertà, ed indipendenza alla mia Patria.". Egli rifiuta adducendo di essere atteso a Verona per suoi importantissimi affari, e viene lasciato partire con l'invito a un pronto ritorno una volta sbrigati gli affari. Tra gli appiedati, invece, ha notato cinque Francesi, senza divisa, che si sono detti congedati dall'Armata Francese e riarruolati in quella Bresciana. In tutto Salò regna un silenzio ed una mestizia che sorprende il General medesimo. -- :: -- Il 25 Marzo 1797 si ricevono a Venezia le attestazioni di fedeltà del Cadore, di Feltre, di Belluno, di Desenzano e della Val Sabbia, che in difesa della Serenissima offrono "e sangue, e vite, e sostanze." (da pag, 70). Il 26 Marzo 1797 arriva, con un dispaccio del Querini da Parigi, anche la risposta del Direttorio al Promemoria del 15 Marzo (quello poco più sopra citato da Napoleone). Il Presidente del Direttorio (Carnot) e il Ministro delle Relazioni Esteriori (Delacroix) si erano mostrati stupiti alle notizie su Bergamo loro riportate dal Ministro veneziano, il quale dunque produsse al Delacroix, in data 23 Marzo, il Promemoria dettagliato. Querini lo riassume brevemente (il testo del Promemoria è riportato alle pagine 21 - 23 del Tomo II) e racconta di aver espresso al Direttorio la "ferma lusinga" che il comandante della Piazza di Bergamo Le Faivre sarebbe stato disapprovato e richiamato ufficialmente all'ordine. Il Direttorio palleggia e dichiara di voler attendere informazioni da Bonaparte. Delacroix, a nome del Direttorio, il 2 Germinal (22 Marzo 1797) assicura di aver trasmesso il Promemoria al Direttorio, e che questo non manchera di dare alla Repubblica Veneta ""una nuova prova della sua Lealtà, e Amicizia."". Carnot, interpellato sulla questione della difesa armata di Venezia dai ribelli, dà risposata analoga a quella di Napoleone, ovvero che il Senato Veneto era libero di prendere quei provvedimenti, laddove non attaccasse le Truppe francesi. Querini termina il dispaccio con alcuni avvertimenti:
Tentori commenta dicendo che l'evidente gioco di rimpallo tra il Direttorio e Bonaparte, unito alla loro manifesta malafede, mettevano in serio imbarazzo il Governo Veneto, e purtuttavia i Savj non si discostarono dal sistema della neutralità disarmata e dalla cattiva abitudine di nascondere i Dispacci molesti al Senato. E che l'Abate non poteva avere nozione, di quali fossero stati i veri ordini del Napoleone, che noi apprendiamo in nota 4 grazie alle Memorie di Landrieux.... Cristoforo Tentori ci riporta adesso a Verona, e ai fatti che sconvolsero Salò, Desenzano e Crema, che vedremo in prossime Pubblicazioni. Umberto Sartori NoteNota 1 - Napoleone mente, vista la lettera in merito speditagli per espresso da Battaja il 23 Marzo, nonché quanto apprendiamo sugli ordini da lui trasmessi a Landrieux di cui a Nota 4. Nota 2 - Si tratta delle truppe richieste dal Battaja, pochi uomini con artiglierie fuori uso, come vedremo in prossime pubblicazioni. Vedremo anche come la reazione del Battaja fosse stata in realtà calibrata e prevista dal diabolico Piano Landrieux. Nota 3 - Napoleone dimentica che era stato proprio lui, nel colloquio di Roverbella con l'Erizzo e il Battaja, a "suggerire" l'istituzione delle "basse figure" come incaricate degli approvvigionamenti. Nota 4 - L'azione contro Salò rientra perfettamente negli ordini segreti che Napoleone avrebbe comunicato il 16 Ventoso 1797 (6 Marzo), per mezzo di Berthier, a Kilmaine e Landrieux, come questi li riporta dalla pagina 85 alla 92 delle sue Memorie. Da pagina 88 e seguenti - Berthier in Milano parla a Kilmaine e Landrieux:
Nel caso non lo aveste notato essa sta già reclutando truppe" (riferimento al Piano Nani ma anche e soprattutto ai Manifesti di Battaja, il cui ruolo in queste vicende meriterà uno speciale approfondimento in una prossima Pubblicazione). Landrieux, come vedremo parlando del Battaja e degli sviluppi dei fatti a Salò, lo prese alla lettera, inviando a Parigi rapporti platealmente falsificati soprattutto sul numero il comportamento e la sorte dei "rivoluzionatori" di Salò. Quel che più conta, ai fini del valutare l'attendibilità nel caso degli ordini segreti ricevuti dal Berthier, è che nella sua comunicazione ad Augereau in Parigi del 30 Ventoso 1797 (20 Marzo) (pagine 232 - 233 della Biografia del Grasilier), Landrieux già informa del voltafaccia di Battaja, descrivendolo come strenuo difensore armato della Serenissima. Battaja lo diventerà, pur solo pro tempore, come minimo il giorno 21, ma più plausibilmente il 22. Questo porterebbe nuova credibilità all'ipotesi di Tentori che Battaja fingesse, tuttavia ritengo che così non fosse, come vedremo più avanti. Landrieux mescola anche ai fatti di Brescia eventi che ancora non sono accaduti, come l'invio dei cento cavalleggeri che Battaja mobiliterà invece nella difesa di Verona il giorno 21 o 22 Marzo. In quella stessa comunicazione di Landrieux ad Augereau del 20 Marzo, apprendiamo anche che Landrieux aveva riscosso nel frattempo due importanti accrediti. Viene nominato Generale in Capo dalle truppe insurrezionali della Lombardia. Dall'altro lato, il residente a Milano Vincenti Foscarini si congratula della sua elezione a tale dubbio onore, e lo nomina mediatore tra la Repubblica e le Provincie "insorte". Egli dovette questo incarico, oltre agli abboccamenti segreti con Foscarini e Ottolini (cfr. le Pubb. XXXVI e Landrieux), ai buoni uffici svolti dalla contessa Theresia Casati-Albani, che aveva un forte ascendente sul Foscarini. Nota 5 - Questo Trattato di Sant'Eufemia è una convenzione stipulata il 27 Maggio 1796 nell'omonimo convento Bresciano tra Napoleone e due inviati del Provveditore Generale in Terra-Ferma, muniti dei pieni poteri in merito: Benedetto del Bene e Rocco Sanfermo. È un documento molto importante, in realtà è il vero documento che segna la fine della Repubblica di Venezia, ben prima di Leoben e Campoformio, e porta la firma di due Plenipotenziari veneziani. È un trattato non validabile, in quanto presenta le caratteristiche del "patto leonino", e ne parleremo per esteso in questa Pubblicazione. Vai a pagg. 45 - 58 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 58 - 72 | Vai a pagg. 72 - 76 || Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||
Edizione HTML e grafiche a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti. |