Storia di Venezia

Pagina pubblicata 17 Maggio 2015

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

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Storia della caduta di Venezia, il generale Antoine Balland, comandante francese della Piazza di Verona

Storia della caduta di Venezia, il generale Antoine Balland, comandante francese della Piazza di Verona, immagine per cortesia di http://toutsurlheraldique.blogspot.it.

Ora dobbiamo riprendere il filo degli affari di Verona, ritornando colla nostra narrazione alla memoranda giornata del 17 Aprile, in cui il perfido General Balland incominciò le orrende scene e luttuose, nelle quali videsi avvolta quella fedelissima Città.

Secondo Tentori, i Francesi erano avveduti che né il disarmo di molti villaggi, né la sopraffazione di Salò, né l'arresto del Colonnello Carrara Governatore di Peschiera, né le scorrerie di Landrieux nelle Valli bresciane avevano smosso i Cittadini veronesi dalla loro determinazione di rimanere fedeli al Governo Veneto.

Sempre secondo il nostro Abate, del tutto all'oscuro del vero ruolo giocato dal Provveditore Giovanelli, i nuovi arresti da questi effettuati nella notte dell'undici Aprile 1797 avevano del tutto scompigliati i piani sovversivi dei congiurati veronesi, e i Francesi furono pertanto costretti ad agire in prima persona per far cadere il governo di quella città.

Nel giorno 17 Aprile dato il segnale da' Castelli di tre colpi di cannone a polvere, armate le porte, e ritirata ne' posti di Guardia, e ne' Castelli la Guarnigione Francese, si diede principio alla gran Tragedia.

Tentori riporta e accetta come veritiera la versione dei fatti fornita dal Provveditor Estraordinario Iseppo Giovanelli nel suo dispaccio del 18 Aprile 1797.

Il Provveditore di Verona scrive da Vicenza, scusandosi per non aver effettuato comunicazioni il giorno precedente, in quanto troppo pressato dagli eventi per trovare il tempo di informare il suo Governo di quanto stava accadendo.

Egli aveva appena spedito il suo precedente dispaccio alle 20:30 del 16 Aprile, che alle 21 partirono tre colpi di cannone a salve dal Castello "che più domina la Città". A quei tre colpi a salve ne seguirono altri, a palla, da tutti i forti. Principale bersaglio era il Pubblico Palazzo, che ne fu danneggiato in alcune parti.
Da pagina 219:

Una giusta brama di vendetta si sparse repentinamente fra il popolo.

Furono suonate le campane a martello, si radunarono folle che aggredirono ogni Francese che si trovasse fuori dalle fortificazioni. Il furore popolare ne uccise oltre 100, tra soldati, funzionari e donne.
Persero la vita 26 veronesi, tra i quali un "Tenente di Truppa Italiana".

Tutti i Cittadini si armarono e, organizzati in Corpi e Pattuglie, minacciavano di morte chiunque fosse sospettato di simpatie francesi.

Le autorità venete, ovvero sostanzialmente lo stesso Giovanelli, cui dovevano obbedienza il Vice Podestà Alvise Contarini e il Circospetto Segretario Rocco Sanfermo, si attivarono immediatamente per frenare il tumulto, esponendo una bandiera bianca sulla Gran Torre e facendo cessare le campane a martello.

A quel punto il fuoco francese cessò dai Castelli di San Felice e di San Pietro, continuando però dal Castel Vecchio.

Furono inviati a parlamentare il conte Zuanne Emilj e il Capitano Castelli, per conoscere le ragioni del bombardamento.

Ricevuti da Beaupoil, "dopo molto inutile diverbio", il Generale riconobbe che l'azione francese non era motivata da divergenze con il Governo Veneto, ma dall'atteggiamento ostile e pericoloso del Popolo veronese stesso.

Il Francese volle scendere egli stesso in città a parlamentare con il Provveditore e il Podestà.
Si incamminò dunque con i parlamentari veronesi che portavano una bandiera bianca, ma quando incontrarono le Pattuglie popolari, queste spianarono i fucili e impedirono il passo.

Emilj e Castelli si accordarono allora con Beaupoil di tornare a prenderlo con una scorta di "24 Nazionali".

Mentre cresceva "l'orgasmo ne' Cittadini" e continuavano le uccisioni, Giovanelli e i suoi, incuranti del pericolo cui si esponevano tra cannonate, fucilate e crolli, tentavano con ogni mezzo di riportare la calma (secondo il racconto del Circospetto Rocco Sanfermo, che esamineremo in una prossima pubblicazione, quando egli balzerà forzatamente in primo piano fra gli ostaggi abbandonati in mano francese, questa incombenza "sul campo" fu in realtà assegnata a lui).

Sembrava che riuscissero a calmare gli animi quando si presentò a Porta San Zeno il Provveditor Conte Francesco Emilj, il quale, avvisato che le Autorità cittadine si trovavano in pericolo, era accorso dalla sua posizione sotto Castel Novo con due cannoni, 600 Schiavoni e 2500 Villici.
Sopraffece la guardia francese di 150 uomini ed entrato in città occupò la Porta Nuova e dispose i suoi uomini in assetto di battaglia nel Brà.

Contemporaneamente, il Capitano Caldogno con 40 Dragoni si impadroniva di Porta Vescovo, facendo prigionieri 70 soldati francesi.

Un conflitto più lungo e cruento ebbe luogo alla Porta San Giorgio, assaltata sotto il comando del conte Nogarola dagli Abitanti e Spadaccini all'interno e dai Villici da fuori. Infine vi furono catturati circa 80 Francesi.

Mentre si combatteva alle Porte, e continuava il bombardamento da Castel Vecchio, al Pubblico Palazzo arrivò il Beaupoil con due suoi aiutanti, scortati da una "Civica Pattuglia".
Da pagina 221:

... ma conosciuto appena dal Popolo, balzatogli addosso, presolo per i Capelli, e per altri tali modi, che lo lasciarono mal concio, lo disarmarono assieme agli Ajutanti;

Gli Ufficiali del Palazzo salvano a fatica il Generale francese dal linciaggio e questi si presenta infuriato al Giovanelli reclamando contro la violazione del Diritto delle Genti relativo ai parlamentari.
Gli si obietta che avrebbe dovuto attendere la promessa scorta degli Schiavoni, anziché affidarsi a una semplice pattuglia.

A ogni modo Beaupoil giustifica il bombardamento come rappresaglia per l'omicidio di un Capo Battaglione con altri tre soldati da parte di Abitanti veronesi, notizia che era giunta al Castello pochi minuti prima che si sparassero i cannoni.

Beaupoil afferma che egli si era opposto a una tanto subitanea rappresaglia, ma che non aveva potuto fermarla.

Giovanelli annota che invece, "da alcuni privati rapporti, e dalle voci stesse Francesi", risultava essere proprio il Beaupoil il promotore dell'attacco.

I Rappresentanti veneti comunque approfittano di questa apparente inclinazione pacifica dell'interlocutore per fargli promettere di far cessare il fuoco dai Castelli e di fermare il Corpo Francese fatto muovere in soccorso su Verona da Peschiera.

Beaupoil acconsente, "ma l'animo suo non poteva a meno di essere maggiormente irritato e per i clamori degli Abitanti, ... e perché ad ogni minuto cresceva il numero de' Prigionieri di sua Nazione, fatti da' nostri, portati al di là di 500 individui.".
Contro questi prigionieri, aggiunge Giovanelli, si sfogava "la giusta vendetta di tanti mesi di affanni.".

Giovanelli si accorda con Beaupoil sulle seguenti condizioni:

  • Stendere un velo sull'accaduto, attribuendolo a cause incidentali e malintesi reciproci.
  • Far uscire dalla Città i Corpi di Villici armati che vi erano entrati.
  • Non far entrare in Città i Corpi e le Truppe francesi in avvicinamento.
  • Ripristinare le Guardie miste già in vigore.
  • Ripristinare i rapporti di truppe esistenti in Verona prima del tumulto.
  • I Francesi avrebbero pubblicato in Proclama di amicizia e rispetto per il Popolo Veronese.
  • Dal Canto suo Giovanelli avrebbe pubblicato altro Proclama incitando alla moderazione e al rispetto delle Pubbliche Massime.
  • Quanto al richiesto disarmo dei Villici, la questione rimaneva affidata alle trattative in corso tra il Governo veneto e Napoleone Bonaparte.

Tale accordo fu approvato dai Sindici, dal Provveditor Giuliari, dal Giovanelli e da "altre nobili figure" ma non dall'altro Provveditore Francesco Emilj, che avrebbe voluto cacciare i Francesi dai Castelli.

Alle ore 5 Beaupoil rientrava nel Castello con scorta mista di Nazionali e di Civici, impegnandosi a rispedire, a mezzo di detta scorta, l'accordo controfirmato da Balland, unitamente alla bozza del Proclama francese.

Al ritorno, invece delle carte concordate, la scorta portò un ultimatum di Balland in quattro articoli.

  • Disarmo assoluto di Cittadini e Villici nel termine di tre ore.
  • Che fossero riaperte le comunicazioni, il che secondo Giovanelli poteva preludere al disperdere la Truppa Veneta che presidiava le strade di accesso a Verona.
  • Che fossero consegnati sei ostaggi a sua scelta.
  • Che fosse data una immediata e solenne soddisfazione riguardo gli omicidi di Francesi avvenuti soprattutto nella giornata precedente.

Giovanelli, con il consenso degli stessi soggetti che avevano approvato la prima proposta, invia una risposta nei seguenti termini.

  • In cambio degli ostaggi richiesti, si offre di liberare quei Francesi che lui e i "buoni Cittadini" erano riusciti a sottrarre alla furia popolare.
  • Riguardo alla libera comunicazione, sarebbero stati impartiti ordini tassativi affinche le Ordinanze e tutti i Francesi avessero libera circolazione ovunque.
  • Per la riparazione degli omicidi, si sarebbero effettuate indagini e perquisizioni per individuare i colpevoli e processarli.
  • Sul disarmo, si ribadisce la posizione già espressa.

Questa lettera fu spedita a mezzo del conte Zuanne Meggio, del Marchese Alessandro Carlotti e del Capitano Castelli.

Questi, in caso di irremovibilità del Generale, hanno incarico di tentare di patteggiare il "minor male possibile".

Anche questa spedizione fu inutile. Balland continuò a esigere tre ostaggi nobili e tre del Clero più la consegna di tutte le armi e le altre condizioni già poste.

Il tempo prima della ripresa delle ostilità è di tre ore. Ostilità che del resto non erano cessate del tutto, perché i cannoni del Castel Vecchio avevano continuato a bersagliare la Città per tutta la notte.

Queste drastiche condizioni ravvivarono l'astio dei Veronesi e non fu possibile calmare i capi di Città e Territorio né gli Anziani delle Arti e dei Mercanti.

Le aule del Pubblico Palazzo si erano riempite di gente nonostante il raddoppio delle Guardie e delle Pattuglie. Fu chiaro che i Veronesi "lungi dal deponer le armi, volevano anzi assalire i Castelli, e prenderli di forza, ed uccidere tutti i Francesi.".

A riprova che non era più possibile contenere gli Abitanti con la ragione, Giovanelli racconta che durante la notte il popolo si abbandonò al saccheggio, che si estese non alle sole proprietà francesi, ma anche a molte case di Abitanti considerati filo-francesi e ai magazzini della Fraterna Vivante, che furono tutti saccheggiati, in quanto ritenuti esistere solo in funzione delle forniture ai Francesi, come in effetti era.

I Capi di Famiglia e i Vecchi inclinavano ad accettare le condizioni francesi, nel timore che la vendetta di questi potesse abbattersi sulla Città.

Nota di U.S.: curiosa questa affermazione, che contraddice quanto detto poco più sopra sugli Anziani delle Arti e dei Mercanti.

Corse voce di 6000 uomini fra Bresciani e Francesi già arrivati a Peschiera, altri 2000 erano a Bussolengo e si riteneva che Maffei non avrebbe potuto prestare sufficiente soccorso.

Anche il Generale Nogarola era incline alla resa, ma il partito opposto continuò a infiammare il popolo alla resistenza.

Le Cariche Venete furono accusate di complicità coi Francesi per aver permesso il rientro di Beaupoil al Castello, e minacciate di essere considerate come traditori se non avessero impartito l'ordine di assaltare i Castelli.1

Tale partito della resistenza il giorno prima aveva segretamente inviato messaggeri al Generale austriaco Laudon chiedendo aiuto alle sue Truppe, e progettava di arrestare nella notte le Autorità venete.

Volendo rimanere ligio alle Pubbliche Massime, che ammettevano l'uso della forza contro ribelli veneti, ma non mai contro gli amici francesi, e dovendosi constatare che, grazie anche ai suoi sforzi repressivi, in Verona non si combatteva con insorti locali, ma contro appunto gli amici francesi, Giovanelli non si sente di dare ordine di attaccare i Castelli, dai quali gli amici francesi sparano le loro amichevoli bombe.

D'altro canto, "... volendo allontanare il pericolo, in cui Sudditi cotanto fedeli, e così benemeriti per tanti sagrifizj non avessero a spingere il loro entusiasmo sino a macchiarsi di colpa arrestando le nostre Persone, come parevano determinati di eseguire fra istanti..." Giovanelli decide di partire assieme al Contarini per Vicenza.

Ha dunque spedito degli ordini, che purtroppo il Tentori non ci tramanda, al Brigadiere Berettini, Vice Governatore delle Armi, e si è portato a Vicenza da dove sta per ripartire con destinazione Venezia, "per rassegnarci con puro cuore a VV. EE. e con lusinga di tutto aver fatto per testimoniare il nostro zelo a VV. EE. ed obbedire a quelle disposizioni, che alla loro autorità meglio piacesse di determinare. Grazie ec.
Vicenza 18 Aprile 1797
Iseppo Giovanelli Prov. Estr. in T. F.
Alvise Contarini Capitanio V. Pod. di Verona
" (da pagina 225).

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Prima che il precedente dispaccio Giovanelli giungesse a Venezia, il Senato era già stato sommariamente informato che a Verona si era acceso il conflitto, da tre Dispacci del Provveditore di Vicenza Erizzo.
Quindi la stessa sera del 18 Aprile 1797 fu inviata una breve Ducale ai due Deputati che dovevano incontrare Bonaparte.

Si riferisce loro che sono giunte a Venezia confuse voci sul precipitare della situazione veronese.
Da pagina 225:

... che jeri verso le ore 21 sia insorta qualche parziale altercazione tra Cispadani, ed una Pattuglia Civica Veronese, dal che i Francesi abbiano preso motivo di cannonare dal Castello il Pubblico Palazzo, e la Città.

Il Popolo ha reagito insorgendo e accerchiando i Castelli nonostante gli sforzi delle Autorità di trattenerlo e calmarlo mentre parlamentavano con i Francesi. Questo atteggiamento ha fatto sì che il popolo ritenesse nemiche anche le Autorità venete, le quali sono state costrette a ritirarsi a Vicenza.

Il Senato non reputa opportuno lasciare Verona priva di rappresentanti del Governo e ha pertanto ordinato al Provveditore Erizzo di trasferirsi da Vicenza a Verona.

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Quando gli ordini del Senato sono giunti a Vicenza, però, Giovanelli e Contarini avevano già fatto ritorno essi stessi alla città loro affidata, come fu da loro comunicato con il Dispaccio del 19 Aprile 1797.

Al loro ritorno in Verona gli scontri erano ancora accesi: non poche le perdite tra gli Abitanti, fra le quali il Capitano Rubbi.

Nuove trattative con Balland non hanno smosso i Francesi dalle loro richieste, ma hanno procurato una tregua fino alle ore 18. Il Popolo tuttavia è sempre più inferocito, non ascolta raccomandazioni e a sua volta è irrigidito nell'esigere che i Francesi lascino i Castelli ed escano disarmati dalla Città. In caso contrario assalterà i Castelli.

Tuttavia le Cariche, le Autorità e i funzionari fanno del loro meglio per calmarlo e intimorirlo.

È stato pubblicato un Proclama affisso in ogni contrada per imporre disciplina.2

Un altro specifico Proclama è stato affisso per far cessare il saccheggio del Ghetto, al quale partecipano anche gli Schiavoni.3 Giovanelli sostiene che egli stesso si è portato in quel luogo e ha fatto cessare le ruberie solo molto a stento.

Mentre tre dei quattro inviati a parlamentare scendevano dal Castello con proposte francesi inammissibili per il Popolo, Balland ha dato un altro segno della sua malafede, riaprendo le ostilità dai Castelli e tentando una sortita dal Castel Vecchio con un cannone.
Ha però dovuto rientrare immediatamente abbandonando il pezzo d'artiglieria.

I bersagli principali delle cannonate francesi dagli altri Castelli sono "il Pubblico Palazzo, la Gran Torre, la Casa de' Mercanti, e la Gran Guardia", ma i danni non sono rilevanti, eccetto tre o quattro morti e alcuni feriti.

Gli abitanti hanno effettuato fuoco violento e continuato, e cominciano a scarseggiare di munizioni.
Da pagina 227:

... se un accelerato grandioso soccorso di polvere, ed altre Munizioni, di Truppa, e di Artiglieria non arriva in Verona, noi non sappiamo prevedere a qual punto possano portarsi le tristi conseguenze, e l'irritamento del Popolo.

Giovanelli ha scritto a Erizzo di accorrere in soccorso da Vicenza, e spera che anche le Loro Eccellenze "che conoscono di che si tratta", vorranno portare aiuto ai Veronesi, "che ad alte grida lo reclamano". Mancando le munizioni, il pieno sacrificio delle Città è certo.

Giovanelli è tornato a Verona con lettere ducali che lo autorizzano a usare una certa violenza, ma senza munizioni non potrà eseguire quegli ordini.

I nemici avanzano da Villafranca e Bussolengo, il Brigadier Maffei ha dovuto ripiegare su Sommacampagna con 900 Soldati e molti Villici.4

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Nota di U.S.

Chiari gli intenti del prezzolato traditore Giovanelli. Egli chiede munizioni per mantenere la facciata del Patriota, mentre la sua azione in Verona, dopo quella di avere favorito il disarmo e il licenziamento di vaste schiere di Volontari, è adesso quella del disfattista, del demoralizzatore.

Egli sa che le Loro Eccellenze alle quali si rivolge, "che conoscono di che si tratta", non hanno alcuna intenzione di inviare aiuti consistenti, solo il minimo a garantire che il casus belli sia efficace.
Ecco le ragioni per cui informa dettagliatamente sullo stato d'armi dei Veronesi. Venezia muoverà su Verona solo l'Erizzo con un esiguo numero di soldati, e polvere a sufficienza perché il fuoco non abbia a esaurirsi troppo in fretta.

È anche interessante chiedersi come mai il Giovanelli, appena fuggito da Verona, vi faccia così subitamente ritorno.
Egli in Vicenza si è scontrato con una grande eminenza grigia delle vicende, quel Paolo Erizzo che molti indizi precedenti candidano a essere, assieme al Sanfermo strettamente collegato all'alta regia degli eventi.

Chi, se non lui, può aver rimandato al fronte il prematuramente fuggiasco Giovanelli? Nemmeno il "Senato" intendeva farlo, tanto che era intenzionato a inviare l'Erizzo al posto suo.
Ma ben prima che arrivino gli ordini da Venezia, il Giovanelli è già tornato sui suoi passi.

Eppure Erizzo, formalmente, era investito di una autorità solo pari alla sua, anzi egi era stato nominato Provveditore Estraordinario su Territori assai meno importanti di quelli assegnati a Giovanelli. Ma sembra essere lui a comandare, in questo caso. A Verona tornerà Giovanelli, a terminare quello che per pusillamnimità stava lasciando incompiuto.

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Tentori passa adesso a narrarci i provvedimenti presi dal Provveditore alle Lagune e Lidi, Zuanne Zusto per difendere l'Estuario, come vedremo nella prossima pubblicazione.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Affronteremo meglio questo argomento nella pubblicazione di sintesi finale, ma è opportuno sapere che i rapporti fra i "Sudditi" di Terra Ferma, particolarmente Veronesi, e le Autorità del Dominio Veneto già da molti anni non erano dei migliori.

Nell'Archivio di Stato di Venezia si trovano numerose testimonianze di malversazioni gravi e continuate sia da parte dei "Bassi Ministri" che degli addetti ai Dazi che di alcuni Rappresentanti e Podestà.

In particolare a Verona erano scoppiati tumulti armati per l'esosità dei controllori di Dogana sulle farine e sulle carni, che affamavano il Popolo.

Ne troviamo traccia nelle note di Aprile - Maggio 1793 di Catterino Corner, alla busta 592 del fondo Inquisitori di Stato, dove si avvisa anche che le misure caritatevoli disposte dal Senato per soccorrere i miserabili molto raramente raggiungono i veri destinatari, e che vi sono continue irregolarità nei ballottaggi per le Cariche e nell'Amminitrazione.

La nota VII del 3 Maggio 1793 è una lunga disquisizione sulla Costituzione e sulle antiche leggi della Repubblica, cui si contrappone il presente decadimento morale che le trascura pesantemente, con il libertinaggio e la caduta del rispetto per l'Autorità, del pudore, dell'ordine e dell'etichetta di comportamento nei luoghi pubblici, soprattutto in quelli deputati all'Amministrazione e al Governo.
Questo modo di comportarsi, e l'assenza di efficaci reprimende, osserva il Corner, mina il morale soprattutto dei giovani, che divengono facile preda di agitatori e sobillatori.

Né si può sperare che si trattasse di un episodio isolato e circoscritto, perché nella busta 118 dello stesso fondo Inquisitori di Stato (Lettere degli Inquisitori al Rappresentante di Verona) troviamo copia di una circolare del Consiglio di Dieci sulla materia, già emessa il 9 Giugno 1789 e reiterata con pubblica affissione 1l 25 Febbraio 1795.

1789 9 Giugno
IN CONSIGLIO DI DIECI.
CIRCOLARE A' RETTORI DELLA TERRA FERMA.

Giunta essendo ormai a grado intollerabile la temerartia licenza, e indisciplina d'alcuni de' Bassi Ministri di Corte, che servono ne' Reggimenti della Terra Ferma, per li defraudi, ed estorsioni, che sotto il pretesto di mancie vanno impunemente praticando ad ingiusto aggravio deì poveri Sudditi, specialmente nelle occasioni di Pubblici Mercati, e Fiere, esige ogni riflesso di buon governo, nella dovuta tutela delle sostanze de' Sudditi stessi, e del libero tranquillo commercio de' Generi, che vi sia posto un opportuno presidio, e riparo.
Che però col Consiglio di Dieci incarichiamo la Rappresentanza vostra di dover risolutamente prescrivere a' Bassi Ministri di vostra Corte di non dover apportare molestia a' Villici, Bottegaj, e Venditori di Merci, e Commestibili di qualunque genere, né di estorquere sotto qualsisia colore, o pretesto.
Imporrete inoltre a' Capi, e Direttori de' predetti Bassi Ministri di non dover per qualunque motivo alterare, né eccedere il numero delle loro Compagnie dalle Leggi prescritto.
Vietarete ad essi, ed a loro Uomini l'uso delle Armi da fuoco tanto nelle Città, che nelle Castella, e Terre Murate, ed il loro accesso dentro il recinto delle Fiere, rendendo responsabili d'ogni disordine, e del contegno, e direzioni de' loro subordinati li medesimi Capi, e Direttori, cominando loro severissime pene, e gastighi al caso di qualunque contravvenzione, e disobbedienza.
Ed affinché sia nota in ogni parte a predetti Bassi Ministri la Pubblica volontà, e le presenti Deliberazioni, né abbiano a pretestarne l'ignoranza, e così pure anche a' Sudditi a loro conforto, onde liberamente concorrano a' Mercati, vi darete il merito di passar alla pubblicazione, e diffusione delle presenti Deliberazioni, che ad ogn'incontro di Pubblico Mercato, o Fiera farete affiggere, ed esporre in luogo cospicuo, ed in forma intelligibile ad universal cognizione, ed intelligenza.
Sarà quindi all'attenzione vostra l'invigilare, affinché le presenti riportino in ogni tempo la dovuta esecuzione, per il che ne ordinerete il registro a lume de' Successori, dandocene avvisi del prestato adempimento.

Addì 25 Febbraio 1795

Gl'Illustrissimi, ed Eccellentissimi Signori Capi dell'Eccelso Consiglio di Dieci infrascritti ordinano, e comandano, che le soprascritte Circolari Ducali del Consiglio di Dieci 9 Giugno 1789 sieno ristampate, e repubblicate a comune notizia, ed intelligenza, e per l'immancabile loro osservanza.
Zuanne Zusto C. C. X.
Giacomo Boldù C. C. X.
Filippo Balbi C. C. X.

Per li Figliuoli del qu. Z. Antonio Pinelli Stampatori Ducali.

Un analogo Proclama sul medesimo argomento fu emanato a nome del Camerlengo e dei Revisori in data 17 Marzo 1790. È molto più tecnico e dettagliato, ribadisce i limiti delle competenze dei vari Bassi Ministri, le patenti loro necessarie e descrive le uniformi e i contrassegni che devono indossare. Ma rimase, a quanto pare, egualmente inosservato, a causa del fitto intrico di associazioni illecite e complicità che legava esecutori e amministratori.

Di fronte al nemico straniero dunque il Popolo di Verona si strinse attorno al suo Governo, ma il comportamento di quest'ultimo non fu certo tale da sopire i rancori che da decenni si accumulavano.

Nota 2 - Possiamo ritrovare il testo di questo Proclama in "Condotta Ministeriale del Conte Rocco Sanfermo", alle pagine 222 - 223:

NOI ISEPPO GIOVANELLI
ED
ALVISE CONTARINI
Per la Serenissima Repubblica di Venezia Prov.
Estr. in T. F. e Cap. V. Pod. di Verona
Si fa pubblicamente intendere, e sapere.

Che per togliere la confusione, e il disordine, che potrebbe essere fatale al bene di tutti, resta commesso al Popolo fedele di Verona, che abbiasi a ritirare nelle rispettive Contrade. Colà gli saranno assegnati dei Capi, ubbidirà ad essi, sarà unito in Corpi e i Capi stessi avranno a dipendere dagli ordini delle Cariche che si presteranno sempre a procurare la comune salvezza.

Verona 19 Aprile 1797 Iseppo Giovanelli Prov. Estr. in T. F.
Alvise Contarini Cap. V. Pod.
Rocco Sanfermo Secretario

Nota 3 - Non mi è ancora stato possibile ritrovare il testo di questo proclama, che riguarda una delle componenti più significative di questa epopea, la "Fraterna Vivante". È probabile che documenti importanti, assenti sia dalla "Raccolta" di Tentori, che da altre opere a stampa che dall'Archivio veneziano, si trovino in alcuni fondi dell'Archivio di Stato di Verona. Non mi è possibile al momento spostare la mia ricerca in quell'Istituto. Se qualche Cittadino veronese volesse unirsi a questa mia fatica sarebbe il benvenuto.

Nota 4 - Nella già citata "Condotta Ministeriale del Conte Rocco Sanfermo" troviamo una lettera del Brigadiere Antonio Maffei, che riguarda un suo precedente ripiegamento, il 13 Aprile.

Tale lettera dimostra come gà da molti giorni il Giovanelli fosse edotto che i Francesi muovevano guerra senza più alcuna copertura di "insorti" locali.

Un'altra notizia importante che ricaviamo da questa comunicazione è lo scemare dell'ardore delle Comunità salodiane, già protagoniste di valorose vittorie sia sui Francesi che sui ribelli.

Mentre il Maffei si mostra sorpreso di questo voltafaccia, è per noi facile ricondurre questa demoralizzazione al comportamento del Provveditore Cicogna e del suo accolito il conte Fioravanti, cui abbiamo già accennato nella Pubblicazione XLVIII.
A quei tradimenti sul campo si era poi sommata l'attività degli Inquisitori, che avevano fatto arrestare e tradurre a Venezia l'uomo di punta della difesa Valsabbina, il prete salodiano don Faustino Bottura, come vedremo in una specifica pubblicazione dedicata ai fatti di Salò, raccontati come emergono dai documenti dell'Archivio di Stato di Venezia.

Dalle pagine 200 - 201 della "Condotta ministeriale Del Conte Rocco Sanfermo"

Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Proveditor
Estraordinario in Terra Ferma
Giovanelli.

Esaminato l'affare occorso in jeri sotto il Villaggio di Desenzano, lo ritrovo molto più serio di quello mi era immaginato in vista di due circostanze aggravanti, che a dire il vero mi disturbano.
Una di queste che io calcolo la maggiore, e che mi do l'onore di prontamente rassegnarle ella è quella di sapere che i Francesi vi hanno non solo preso parte apertamente, ma si può calcolare "essere stati essi soli gli aggressori", e ciò per le unite relazioni degli Uffiziali comandanti il corpo attaccato, l'altra quella di vedere raffreddato, "e quasi tolto del tutto l'ardore nelle Comunità Salodiane", cosa ch'io non avrei mai creduto, e ciò pure dall'esperienza, avendo ricusato la Comunità di Rivoltella di suonare Campana martello allorchè l'uopo lo richiedeva, ed abbandonando in così fatto modo le poche Truppe di Linea al furore dell'inimico di gran lunga superiore in forze, e protetto dal riparo delle abitazioni, dalle cui fenestre, e muraglie faceva fuoco contro de' nostri.
Queste due circostanze mi animano adunque a suplicare l'E. V. onde al più presto che sia possibile, e nel maggior numero che si possa mi spedisca "Truppe regolate, ed Artiglierie" per essere in caso di respingere l'audacia de' nemici al caso che volessero continuare ad attacarmi.
A tenore delle notizie che mi giungeranno intorno alla situazione de' ribelli prenderò il consiglio di ritirarmi al di là dal Mincio, prendendo la posizione di Valezzo, ovvero mi deciderò a sostenere il posto che tutt'ora mantengo di Monzambano.
Non mi è possibile ancora l'avere un esatto dettaglio della perdita dei nostri, e delle minute circostanze dell'azione; di questo V. E. ne sarà informata in seguito, solo passo a dirle che fino ad ora mancano tre Uffiziali degli Italiani, che sono il Tenente Paolo Spineda, e li due Alfieri Brocchi, e Martinetti, e 6o uomini all'incirca fra Oltremarini, ed Italiani, non si sa se morti, o feriti.
L'Alfiere Caprino ritornò ferito in una gamba da una palla di moschetto.
Malgrado questa mia leggera perdita, ed "il necessario abbandono della posizion di Pozzolengo", sono rassicurato dall ardore e bravura de' nostri Soldati, i quali si batterono valorosamentc contro un nemico di numero tanto superiore; ritirandosi in buon ordine, e sostenendo il fuoco Francese con tutto il coraggio.
Avrà l'E. V. l'esatto dettaglio delle persone che si distinsero nel fatto, che io raccomando caldamente alla di Lei giustizia, onde ricevano la ricompensa dovuta al loro merito, e ciò anche per animarli viemaggiormente nell'esercitare il loro dovere, e mi raffermo con tutto il rispetto.

Monzambano 14 Aprile 1797
di Vostra Eccellenza.
Umiliss. Devotiss. Obbligatiss. servitore
Antonio Maffei Brigadiere.


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